Un viaggio allucinante alla Six Chem

SCROLL

Il mio collega sta cercando qualcuno in grado di darci informazioni. Siamo partiti da Dusseldorf con il volo 57. Dobbiamo essere sul posto entro le cinque di questo pomeriggio.

Collega: “Non lo so, mi hanno dato l’indirizzo ma bisogna passare in mezzo al parco”

Io: “Quale parco?”

Collega: “L’aeroporto si trova in mezzo ad un parco nazionale e la delegazione ci aspetta nella sede distaccata, a 10 Km da qui”

Io: “Ok. Andiamo a cercare un taxi”

Dobbiamo convincere gli italiani che non ci conviene più avere rapporti in nero tramite Leone. La nostra azienda è diventata un colosso in Germania e qui in Italia dobbiamo stare molto attenti.

Usciamo dall’aeroporto per cercare un taxi. La giornata è stupenda ma fa molto caldo, troppo caldo per come siamo vestiti. Per un istante il sole scopare all’ombra di un enorme aeroplano che passa sopra le nostre teste. Io alzo gli occhi e faccio appena in tempo a vedere la coda, quando improvvisamente il sole mi acceca e mi costringe a voltarmi. Vedo il mio collega ancora scioccato.

Io: “Bestiale!”

Collega: “Sì, era enorme.”

Signore del taxi: “Dove dovete andare?”

Collega: “Dobbiamo andare alla SixChem”

Signore del taxi: “Non ci potete arrivare in taxi, dovete passare in mezzo al parco”

Collega: “Ma sono 10 Km”

Signore del taxi: “Non credo siano così tanti. Da dove venite?”

Collega: “Da Dusseldorf”

Io: “Senti, qui dobbiamo sbrigarci. Scusi, ma non ci può portare lei?”

Signore del taxi: “Si calmi signore. Mi dispiace ma non è consentito l’accesso alle auto nel parco”

Collega: “Grazie mille, ci scusi”

Signore del taxi: “Arrivederci”

Collega: “Aspettami qui. Torno subito”

Io: “Ok”

Il mio collega rientra in aeroporto mentre io mi guardo un po intorno. C’è una macchina rossa che è entrata per sbaglio nella corsia dei taxi. E’ un anziano conducente alla guida, che sta cercando goffamente di tornare indietro. Una signora sta per attraversare ma per un pelo si accorge della macchina, l’avrebbe di certo investita. Faccio un sospiro di sollievo, la signora mi guarda e in quel momento il sole si spegne ancora e un enorme aereo tuona tutta la sua potenza a così pochi metri dalla mia testa.

Collega: “Andiamo.”

Io: “Hai trovato qualcosa?”

Collega: “Sì. Bisogna andare a piedi, non c’è altra possibilità”

Io: “Scusi, ma che cosa sarebbe questo parco?”

Signore del taxi: “E’ il Parco Nazionale del Ticino, si estende per decine di chilometri lungo il Ticino”

Io: “E’ un fiume?”

Signore del taxi: “Sì, uno dei più lunghi d’Italia”

Ci incamminiamo seguendo la strada principale, che per un bel pezzo è provvista di un ampio marciapiede, ma poi il marciapiede si interrompe e inizia un sentiero che si distacca via via dalla strada fino a che siamo completamente circondati dagli alberi e dal silenzio.

Collega: “Sembra che Leone abbia rapporti anche con la StarChemical”

Io: “Sì, dobbiamo convincerli che non è più possibile”

Collega: “Alla SixChem ci aspetta Adelaide, una simpatica”

Il sentiero ci porta vicino alle rive del fiume. Il mio collega decide di fermarci un attimo, così ci togliamo la giacca e stiamo più comodi. Ci avviciniamo all’acqua e troviamo un posto dove sederci un minuto. Sulla riva opposta ci sono delle persone che prendono il sole. Una ragazza è in acqua e sta nuotando.

Collega: “Ma quello è nudo?”

Io: “Chi?”

Collega: “Guarda… Quello lì”

Io: “Eh sì che è nudo. Sì ma pure quegli altri, sotto l’albero grande! Sono nudisti?”

Collega: “Sono naturisti”

Il fiume a questa altezza è molto largo e le sue acque scorrono lentamente. Ma poco più avanti si vede un’isola che lo divide in due parti e lì le acque sono veloci.

Collega: “Hai visto? Ci sono delle rapide là in fondo”

Io: “Sì. Andiamo a vedere”

Seguiamo un piccolo sentiero che costeggia la riva ma non riusciamo ad avvicinarci molto alle rapide perché per farlo dovremmo entrare in acqua, ma sono comunque lì davanti a noi, a non più di dieci metri di distanza. Il loro suono copre interamente il silenzio del parco e questo mi imbambola.

Collega: “Dobbiamo andare”

Io: “Sì”

Ci allontaniamo seguendo il sentiero. Il suono delle rapide è sempre più lontano. Il sentiero è sempre più lontano dal fiume. Abbiamo percorso appena un chilometro e stiamo entrando nel bosco selvaggio.

Collega: “La Maier dice che dovremmo puntare sul discorso del futuro governo italiano”

Io: “La Maier non capisce un cazzo. Con gli italiani in questo momento non si può parlare del futuro della politica italiana”

Collega: “Secondo me invece ha ragione”

Il suono delle rapide è sempre più lontano e adesso si confonde con il rumore delle foglie al vento.

Collega: “Il futuro della politica italiana è alla base delle nostre preoccupazioni. Se le cose dovessero andar male, quei pazzi al governo li fanno saltare tutti i nostri canali”

Il vento smette di soffiare e il suono delle rapide scompare definitivamente, mentre il caldo appesantisce il nostro cammino. Siamo in mezzo al bosco selvaggio. Il sentiero è bianchissimo ma si riescono a vedere solo pochi metri per volta, perché ci sono tutte queste curve che si insinuano come un serpente gigante tra gli alberi.

Collega: “Noi dobbiamo essere pronti. Non possiamo rischiare di fotterci il settore italiano”

Io: “Ma quelli, non potevano starsene a casa loro invece di venire a rompere i coglioni a noi?”

Collega: “Dobbiamo seguire le indicazioni della Maier”

Il sentiero adesso è ricoperto di piccole foglie dorate, tantissime, il sentiero è dorato. Noi ci passiamo sopra. E’ un flusso di luce dorata che diventa sempre più intenso, noi lo attraversiamo, con i piedi immersi nelle sue acque che non bagnano.

Collega: “Ho qui un rapporto che possiamo far vedere. Sono descritti tutti gli attuali canali di connessione tra noi e le aziende italiane con le quali abbiamo accordi di fornitura. Il rapporto chiarisce quali sono i canali a rischio che devono essere eliminati. Lo hai letto prima di partire?”

Il sentiero adesso è arancione e noi siamo immersi in esso fino alle caviglie. I nostri passi producono gocce bianchissime che si sollevano in aria e poi ricadono nel fluido. Gli alberi intorno si muovono a scatti. C’è un silenzio glaciale.

Collega: “Ma mi stai ascoltando?”

Io: “Sì, scusa. Certo che l’ho letto. La Maier sbaglia. Noi non dobbiamo dare l’impressione di essere preoccupati, altrimenti è finita con gli italiani. Quelli vanno subito nel panico e si tirano indietro”

Collega: “Questo è giusto”

Il livello del fluido arancione si abbassa progressivamente e il sentiero ritorna ad essere bianchissimo. Gli alberi intorno sono più distanti, ci sono piccole collinette di sassi chiari per una ventina di metri, poi rientriamo nel bosco selvaggio e il sentiero diventa ancora dorato e poi arancione fino a ritornare un fluido che immerge i nostri piedi. Il livello del fluido sale e arriva fino alle ginocchia, e poi sale ancora e continua a salire.

Collega: “Ma qualcuno di loro dobbiamo pure tirarlo dentro nel discorso. Potremmo provare ad incontrare separatamente quel socio che è appena entrato, come si chiama? Quello giovane che porta i capelli lunghi in quella maniera assurda”

Io e il mio collega siamo ora immersi nel fluido arancione fino alla pancia, ma nessun attrito ostacola il nostro cammino. Il livello continua a salire e quando raggiunge la gola penso che dovrei dire qualcosa, ma aspetto perché forse non succederà niente di brutto.

Io: “Sì ho capito chi è. Qualcuno glielo deve dire che quei capelli non vanno bene”

Collega: “Non ti facevo così formale”

Io: “Non in quel senso. Quello sta perdendo i capelli da molto tempo e non ha mai voluto farne i conti. Continua con quei riporti, a fissare la coda indietro in modo da coprire i lati verso le orecchie. Certo riesce a far vedere com’era, ma insieme a questo trasmette una grande sofferenza. Non ne vale la pena. Dovrebbe tagliarseli tutti e fare amicizia con il suo nuovo aspetto”

Collega: “In effetti quelle due volte che l’ho visto aveva sempre un’aria triste. Non ti guardava mai in faccia. Ma penso che dobbiamo provare con lui”

Io: “Sono d’accordo”

Il fluido ci ricopre completamente fino ad un metro sopra le nostre teste. Sembra di camminare sott’acqua ma il peso dei nostri passi è sempre lo stesso, si muovono nell’aria, normalmente. Gli alberi adesso sono immobili, noi camminiamo ma loro non si muovono e ci seguono così come sono, per alcuni metri, e poi scompaiono per far posto ad altri alberi, che anche loro non si muovono, seguendo i nostri passi e poi scomparendo ogni volta nel passato di pochi istanti prima.

Collega: “Adesso incontriamo la delegazione e mostriamo il rapporto, ma senza dare l’impressione di crederci più di tanto. Così daremo loro quello che vogliono, rispetto e fiducia”

Tutto diventa improvvisamente azzurro. Ma dove siamo? Siamo sott’acqua? Ma come fa il mio collega a parlare? Guardo in alto e vedo un aereo deformato che vola sopra il fluido che ondeggia alla luce. Vorrei nuotare per cercare di arrivare in superficie, ho paura di soffocare.

Collega: “Poi magari al caffè facciamo due chiacchiere con quello nuovo e fissiamo un incontro solo con lui. Cosa ne dici?”

Prima di andare nel panico provo ad aprire la bocca. Non c’è l’acqua, è aria. Provo a dire qualcosa.

Io: “Ok. Va bene”

Posso parlare normalmente. Il sentiero inizia a salire ma la fatica non aumenta. L’azzurro che ci immerge diventa sempre più chiaro. Il suono impetuoso di un aereo si fa sempre più forte. Il sentiero sale, l’azzurro diventa il sole, un boato muove tutti gli alberi e le ali giganti dell’aereo tagliano il fluido che ormai ricopriva il parco fino a decine di metri sopra. E il fluido inizia a gocciolare e si scioglie fino a scomparire.

Collega: “Appena arriviamo dobbiamo sentire la Maier. Vediamo cosa dice anche lei.”

Io: “Da quanto camminiamo?”

Collega: “Saranno due ore. Mi chiedo se arriveremo in tempo”

Io: “Riposiamoci un po”

Collega: “Sì”

Il sentiero arriva fino ad una sbarra. La superiamo passandoci sotto e ci ritroviamo vicini ad un piccolo lago azzurro e piatto, mosso appena da qualche soffio di vento. Ci fermiamo lì e stiamo un po ad osservarlo. Una patina di luci lampeggianti appoggiata sull’acqua si muove lentamente da un lato all’altro del lago. Il mio collega si toglie le scarpe e si sdraia nell’erba. Anche io mi sdraio e chiudo gli occhi. Non si sente alcun rumore. Tutte le cose sanno che abbiamo bisogno di riposare.

Collega: “Si sta bene qui”

Io: “Sì”

Collega: “Si sta bene qui”

Io: “Sì, si sta bene qui”

Collega: “Si sta bene qui”

Apro gli occhi e lui non c’è. Mi spavento.

Io: “Dove sei?”

Mi alzo, lui non c’è, ma la sua voce è vicina. Il lago è completamente immobile, la patina di luce lampeggiante è sollevata leggermente dall’acqua. E quando il mio collega parla, la patina di luce si piega e poi ritorna dritta.

Collega: “Si sta bene qui”

Io: “Dove sei?”

Africano: “Non potete stare qui!”

Collega: “Scusa, ero sovrappensiero.”

Lui ricompare all’improvviso. E’ sdraiato nell’erba.

Io: “Ehi!”

Collega: “Stavo pensando che dovremmo avvisare Adelaide, ma il cellulare non prende qui”

Africano: “Voi! Non potete stare qui!”

Collega: “Ma chi è?”

Ci alziamo e andiamo verso un signore africano che si sta avvicinando con un cane. Il cane è bellissimo, chiaro, alto, e quando ci avviciniamo ci fa le feste. Il signore africano ha in apparenza un’aria minacciosa, ma si limita a dirci che noi non possiamo stare lì perché è proprietà privata.

Collega: “Ma siamo venuti dal sentiero”

Africano: “E’ tutta proprietà privata”

A quel punto, non potendo tornare indietro, ci facciamo accompagnare al cancello della proprietà che si trova dalla parte opposta.

Africano: “Ma dove state andando?”

Collega: “Veniamo da Dusseldorf e dobbiamo andare alla SixChem”

Africano: “Mai sentita. Da Dusseldorf? Dalla germania?”

Collega: “Sì”

Africano: “E beh, cosa ci fate qui nei boschi?”

Collega: “Siamo atterrati tre ore fa con il volo 57 e abbiamo una riunione d’affari alla SixChem”

Africano: “Sentite, andatevene via subito altrimenti chiamo la polizia”

Finalmente usciamo dal cancello e possiamo riprendere il cammino. E’ molto tardi, saremmo dovuti già arrivare e invece siamo ancora in mezzo al parco e non sappiamo quanta strada ancora ci aspetta.

— FINE PRIMA PARTE —

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